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Rivista Cani Utili n°231 - Maggio 2012

Ricordo benissimo la prima volta che vidi in Italia il Dogo Argentino: fu nel 1977 all'esposizione internazionale di Monza. Approfittando dell'assenza dell'odierna tecnologia che consente un'informazione planetaria su ogni argomento, quel cane fu presentato come un animale sanguinario e per avvallare la cosa gli avevano messo due collari e due guinzagli!

Come era prevedibile, quel tale che stava dall'altra parte dei guinzagli, fu una delle tante meteore della cinofilia fatalmente destinato a rimanere senza storia. Mi lasciò perplesso quella sceneggiata anche perché quel cane, pur nella sue espressione determinata, appariva sereno ed equilibrato.

Le mie impressioni furono confermate qualche tempo dopo nell'atrio di un albergo a Torino dove vidi due esemplari di Dogo Argentino gironzolare liberi e tranquilli. Non si stupisca il lettore: un tempo erano frequenti simili situazioni perché non vigevano gli attuali (e pur giusti) obblighi di legge.

Come è noto, il Dogo Argentino fu creato dal Prof. Antonio Nores Martinez il quale si era posto l'obiettivo di dar vita a una razza adatta per la caccia al cinghiale e al puma. Siamo negli anni trenta, epoca in cui di poteva già disporre "sul posto" di esemplari di varie razze. Attuare un simile lavoro zootecnico in un lasso di tempo relativamente breve sarebbe stato impensabile solo nel secolo precedente, penalizzato da comunicazioni e spostamenti estremamente lenti e difficoltosi. Ecco perché il Dogo Argentino può essere considerato uno dei pochi esempi di fruttuosa sollecitazione genetica.

Una popolare razza da combattimento autoctona argentina era il Perro de Pelea Cordobes, aggressivo e potente ma carente di agilità e forse anche non dotato di grande olfatto. Questo cane fece comunque parte del coacervo di razze incrociate sapientemente da Martinez. Tra esse figurano l'Alano Arlecchino, il Bulldog Inglese, il Bull Terrier, il Pointer, il Dogue de Bordeaux, il Boxer, il Cana da Montagna dei Pirenei, il Mastiff e L'irish Wolfhound.

Tutte queste razze riuscirono ad apportare le qualità volute: L'alano Arlecchino garantì la taglia e migliorò la forma della testa, il Bull Terrier e l'immancabile Bulldog Inglese rafforzarono le doti di combattività al pari degli altri grandi molossoidi usati. L' Irish Wolfhound trasmise le sue innate peculiarità di cacciatore condite con il proverbiale olfatto del Pointer. E' facile notare come la maggior parte di queste razze sia riconducibile al ceppo dei grandi molossoidi che ha dato vita alle varie razze divenute tali per selezione e tipicizzazione locale.

Da questi accoppiamenti mirati scaturì una notevole variabilità genetica, presupposto comunque irrinunciabile per un corretto sistema di allevamento e fondamentale quando si vuol dar vita (o ricostruire) una razza canina. Gli accoppiamenti effettuati diedero vita a molte linee di sangue che, incrociate fra loro con opportuna consanguineità, fissarono gradualmente il tipo desiderato. Faccio una digressione allo scopo di precisare che la consanguineità è alla base della creazione di qualsiasi specie animale perché consente di fissare le caratteristiche desiderate. Eventuali tare e difetti non sono creati dalla consanguineità, ma solo evidenziati ed eventualmente resi, in taluni casi, dominanti e quindi altamente trasmissibili al pari dei pregi sia estetici che caratteriali.

Per completezza di informazione, dirò che in fase di creazione o ricostruzione di una razza canina è imprudente effettuare precocemente accoppiamenti in stretta consanguineità perché si possono manifestare casi di atavismo per evidenziazione fenotipica riconducibile a una delle componenti. Nella medesima cucciolata è normale che nascano soggetti di buon tipo accanto ad altri con caratteristiche indesiderabili. Questi ultimi non saranno ovviamente destinati alla riproduzione.

Gli esemplari migliori potranno a loro volta trasmettere le qualità volute in percentuale variabile ma quasi sempre correlata al numero dei soggetti migliori. Concretizzo un esempio: se in una cucciolata di otto soggetti, sei sono belli e due brutti, sarà più facile che il migliore dei sei possa riprodurre, se ben accoppiato, le qualità che possiede; nel caso opposto sarà più difficile. Quando la selezione prosegue su un corretto binario, la razza comincia a fissarsi geneticamente e di conseguenza il successo della cucciolata sarà dato dall'omogeneità (in bello) dei soggetti nati. Anche in questo caso i migliori saranno destinati a perpetuare, fissandole sempre di più, le caratteristiche desiderate.

Il Dogo Argentino fu riconosciuto dalla Societad Rural Argentina nel 1964 e nell'anno successivo anche dalla Federacion Cinofila Argentina. Nel 1973 la razza fu ufficialmente riconosciuta dalla Federazione Cinologica Internazionale.

LA RAZZA IN ITALIA

La popolarità numerica in Italia si mantiene consistente: 642 soggetti iscritti nel 2006, 736 nel 2007, 615 nel 2008, 789 nel 2009 e 799 nel 2010. Ma al di là dei numeri, non può spegnersi l'eco del memorabile evento organizzato il 12 e 13 marzo 2011 nell'ambito dell'esposizione di Reggio Emilia quando si svolse il Trofeo Mondiale del Dogo Argentino organizzato dell'organizzazione mondiale della razza con il supporto logistico del Dogo Argentino Club Italia (DACI).

I 500 soggetti iscritti provenienti da varie nazioni hanno decretato un trionfo anche qualitativo e stabilito un record di iscrizioni mai raggiunto prima in una manifestazione europea. E' anche stato confortante, in quell'occasione, constatare un netto miglioramento di un pregio assoluto: la pigmentazione. Un tempo questo fattore importantissimo venne troppo trascurato anche in sede di stesura dello standard, ma poi vi fu un opportuno e tempestivo ravvedimento.

La pigmentazione non deve essere considerata sotto il solo profilo estetico. Un suo stato carenziale provoca, nel medio termine, varie patologie legate all'apparato della vista, dell'udito, della riproduzione. In nessun caso la pigmentazione è un fattore dominante e quindi non può mai essere trascurato a livello selettivo. In quella memorabile esposizione vidi soggetti sereni ed equilibrati ed ebbi quindi conferma delle ottime doti caratteriali che avevo avuto modo di constatare in quel pur esiguo numero di soggetti da me giudicati nelle prove di lavoro.

Lo standard caratteriale del Dogo Argentino lo descrive "gioioso, franco, amabile, non diffidente, poco incline ad abbaiare perché conscio della sua forza; non deve mai essere aggressivo e questo aspetto del carattere deve essere tenuto sotto controllo. La naturale predisposizione a dominare, in particolar modo nei maschi, lo coinvolge continuamente in lotte territoriali con cani dello stesso sesso. Nella caccia è furbo e silenzioso, coraggioso e molto agguerrito".

Ho notizia che nei programmi del Dogo Argentino Club Italia figura lo studio di un test caratteriale. Auspico che non sia prevista una prova di difesa intesa nel senso classico perché esula dalle peculiarità intrinseche di questo cane adatto a svolgere bene la guardia. Una certa attitudine alla difesa è pur presente in questi cani ma non può essere questa la loro specializzazione né si deve, a mio avviso, tentare di valorizzarla impropriamente. Nei soggetti da me giudicati (ripeto in numero ristretto) non ho notato timore alla minaccia ma i tempi di reazione non sempre sono immediati e comunque mi sono parsi perfettamente in sintonia con le peculiarità di razza.

Istituzionalizzare una prova di difesa indurrebbe a effettuare forzature per indurre tempi di reazione più rapidi quanto inutili nel caso specifico. E oltre tutto si arrecherebbe un danno psichico al soggetto. In linea più generale, ritengo sempre opportuno studiare una prova specifica per la razza piuttosto che "prendere in prestito" o adottare prove destinate a cani creati per un utilizzo diverso. Massificare tutto non è mai stato un modo corretto di intraprendere la cinotecnia.

Ultima modifica ilSabato, 23 Gennaio 2016 09:41
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